Storia
La notizia più antica relativa alla chiesa, che rivela che a quel tempo esisteva già un complesso ben organizzato, è tratta dal Chronicon farfense e risale al X secolo, quando l’abate Ildebrando di Santa Vittoria in Matenano dona illegalmente al figlio Alberto i possedimenti di San Martino, definendoli «curtem Santi Martini».
Un documento dell’anno 1030 testimonia che il castaldo Trasmondo vende al vescovo di Fermo Uberto il complesso di San Martino, definendolo «Monasterium», e i diritti a esso pertinenti.
Al momento della sua fondazione l’abbazia di San Martino godeva di ampi territori, che gli furono riconfermati nel 1193 dall’imperatore Enrico VI: ciò dimostra che l’abbazia era il centro giurisdizionale e religioso di tutta l’area.
La chiesa venne edificata probabilmente sui resti di un antico tempio pagano, come lascia ipotizzare la porzione di muro in opus caementicium antistante la facciata principale. Anche il santo titolare della chiesa, particolarmente venerato nel Medioevo in particolare dai benedettini e simbolo della vittoria del cristianesimo, sembrerebbe confermare questa ipotesi.
Secondo alcune teorie l’abbazia fu costruita sui resti del tempio della dea Cupra, costruito dalle popolazioni picene e restaurato dall’imperatore Adriano nel 127 d.C. Ma il problema relativo alla collocazione di questo tempio non è ancora risolto, in quanto molti preferiscono collocarlo nell’attuale territorio di Cupra Marittima.
Del complesso medievale di San Martino si è conservata la chiesa in un restauro del XVI secolo.
Descrizione
La facciata della chiesa è molto lineare e rivela la partizione interna in tre navate: il corpo centrale è più alto ed è delimitato da due semipilastri che si interrompono all’altezza degli spioventi delle navate laterali più basse.
La facciata è compatta e presenta la sola apertura del rosone centrale e un frammento di piede di una statua romana murato al di sopra del portale d’ingresso.
La chiesa è a pianta basilicale, con abside semicilindrica e copertura a capriate lignee. La navata centrale è separata da quelle laterali da pilastri che sorreggono cinque archi per lato.
L’altare maggiore, rialzato di due gradini rispetto al pavimento della chiesa, presenta un affresco staccato raffigurante una Crocifissione con Madonna, Papa e Santo Vescovo. È difficile risalire a una datazione dell’opera a causa di innumerevoli ridipinture, ma è possibile ipotizzare una datazione al XV-XVI sec.
Molto interessante è l’affresco della Madonna del latte: l’opera originaria, probabilmente risalente al XII-XIII secolo, è stata recentemente sottoposta a un accurato restauro che ne ha permesso la leggibilità e ha fatto riaffiorare una bellissima cromia.
Il soggetto rivela la continuità del culto in quest’area: infatti la devozione alla Madonna Nutrice era particolarmente sentita nelle campagne e si lega al culto pagano della dea della fecondità che in passato veniva celebrato nei pressi di una sorgente d’acqua, per il valore di vita intrinseco a questo elemento. In questa zona vi era infatti una sorgente, come documenta la cisterna di epoca romana, il cosiddetto Bagno della regina, trovata non distante dalla chiesa.
La chiesa conserva all’interno molti reperti classici e medievali. Interessanti sono le due epigrafi murate sulle pareti: una, collocata sopra la porta maggiore, ricorda l’intervento di restauro voluto dall’arcivescovo Alessandro Borgia nel 1743; l’altra, sul pilastro di fronte alla porta laterale, ricorda il restauro del tempio dedicato alla Dea Cupra, decretato dall’imperatore Adriano, nel 127 d.C.
L’importanza di questa epigrafe è attestata dal fatto che la rimozione dall’edificio di tutte le lapidi profane, voluta dal vescovo Poggi nel 1614, non comprese la lapide adrianea.
Le due acquasantiere rappresentano un ottimo esempio di riuso di materiali precedenti: una è ricavata da un cippo quadrato sul quale è scolpito un elmo con corna di montone, l’altra è sorretta da una colonnina e presenta su un lato due colombe che bevono in un calice, sull’altro un animale beccato da un uccello.
La Sacra
Secondo la tradizione, verso la fine di giugno del 1177, papa Alessandro III, mentre si recava con una flottiglia di navi a Venezia, fu costretto a sbarcare nel porto di Grottammare, per ripararsi da un violento temporale.
Qui venne accolto dai monaci di San Martino e da una folla festosa. Il Pontefice colpito da così grande dimostrazione di affetto decretò un’indulgenza plenaria che si poteva ottenere, visitando l’abbazia, ogniqualvolta il primo luglio fosse caduto di domenica.
Da questa tradizione trae origine la Sagra, che tuttora si celebra nella chiesa. L’indulgenza è stata riconfermata da Pio VII, nel 1803, e ancora nel 1973, quindi Grottammare è una delle poche città ad avere questo privilegio.